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  • CARLO SAFFIOTI

GASPARE


Continua a camminare alla svelta, un po’ curvo e si inoltra sempre di più nel folto della macchia. Scosta i rami uno dopo l’altro, con calma, respirando forte nei suoi grossi baffi. La doppietta gli pesa sulla spalla, la mette a sinistra, mormorando appena una maledizione tra sé.

Il sole ormai comincia a essere basso e nella macchia le ombre cominciano ad allungarsi mentre i colori si confondono.

Chi vuoi che ci sia quaggiù, a quest'ora scura, pensa lui cupo, lanciando intorno un’occhiata. È inquieto.

La patacca scura, umida, ormai si sta allargando sul suo giaccone, proprio sul fianco; ma lui non vuole occuparsene, preso com’è dalla voglia di allontanarsi alla svelta da quella maledetta radura del leccio grande, dove ha trovato i carabinieri, infrattati a aspettarlo.

Gli hanno intimato l'alt, ma figurarsi se lui si fermava! Non è mica un bischero Gaspare, lui non si fa coglionare e lo sa cosa c’è da fare in questi casi.

Nel canaio degli urli s’è buttato a rocchio pe’ ‘n fosso e per fortuna che il colpo l'ha chiappato di striscio, anche se il sangue – pompato dalla corsa - continua a uscire anche in questo momento; ma lui sa che ora deve affrettarsi e raggiungere il covo, dove potrà finalmente nascondersi alla poventa, riposarsi e magari mangiare un po’ di quel conigliolo che gli è avanzato da ieri. Bòno, però.

Nel tascone della cacciatora sente dondolare il peso di una forma di cacio: gliel’ha passata, avvoltolata in un cencio, Giacomina, la figliola del fattore mentre si allontanava da lui svelta svelta, fingendo di inciampare in quel cretto che c’è nell’impiantito.

Stupidi caramba! Non riusciranno mai a trovarlo in questi posti: è troppo furbo lui e poi queste piagge le conosce bene.

Ecco il groviglio scuro di rovi e vitalbe che nasconde l’ingresso della caverna. Alza un lato della ramaglia cercando di non farsi male, si china un po’ ingombrato dal buzzo che è cresciuto troppo, nel tentativi di mettersi giù boncitto e così quasi non si accorge del lampo che si accende nel buio del cespuglio di more e del proiettile che arriva a spezzargli una gamba.

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