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  • ANNICK EMDIN

THE WHITE HOUSE BOYS



“Erin, ce ne sono altri.”

Erin si scosta dalla fronte un ciuffo biondo con la mano guantata sporca di terra. I capelli continuano a sfuggire alla retina. Erin ha proprio l'aspetto da ragazza della Florida, il tipo che ti aspetti di vedere su una spiaggia di lusso con un margarita in una mano e una tartina al salmone nell'altra. Invece sta dissotterrando cadaveri.

Cadaveri di bambini.


Si ricorda ancora la telefonata.

“Signorina Kimmerle? Parla Charlie Christ.”

Il governatore della Florida? Sì, certo, come no. Erin pensò che fosse uno scherzo. Ma fortunatamente non lo disse. Perché era davvero Charlie Christ.

“Ha visto il servizio della CNN sulla scuola Dozier? A Marianna, il riformatorio? Le trentuno croci?”

L'aveva visto. Orribilmente, aveva anche desiderato di partecipare a quelle indagini.

“C'è un'accusa a carico dei direttori e delle guardie formulata da quattro ex – allievi dell'istituto.”

Erin era rimasta in silenzio.

“È una faccenda molto spinosa. E delicata. Se ciò che dice l'accusa è vero, tutta la Florida si è girata dall'altra parte mentre dei ragazzini venivano stuprati e picchiati a morte. Si parla della Florida di cinquant'anni fa, certo, ma la scuola è stata aperta fino ad ora. L'ultima indagine per abusi è del 2007. Voglio aprire un'inchiesta.” Charlie Christ fece una pausa. Erin immaginò la sua faccia da attore di telenovela che si contraeva all'idea. Charlie Christ non aveva l'aspetto di uno che ama occuparsi di cadaveri di adolescenti stuprati. Sembrava più uno da cocktail party.

“Vorrei affidarle il caso. Accetta?”

Erin non esitò neanche per un secondo. “Sì.”

“Le farò avere i recapiti dei quattro superstiti che hanno sporto l'accusa.”

Charlie Christ sembrava davvero uno da cocktail party. Invece era il primo governatore della Florida in assoluto a ordinare un'inchiesta su quel posto.


Erin incontrò i quattro superstiti a casa sua, in una bella giornata estiva. Era strano vedere dei sessantenni con gli occhi così sgranati, le mani in bocca, la testa bassa. Sembrava che solo il loro corpo fosse invecchiato, che loro non fossero mai cresciuti. Davano l'impressione di essere ancora angosciati all'idea di parlare contro i loro carnefici, anche se la maggior parte dei sorveglianti erano centenari o da tempo morti.


Quello che parlava di più era Roger Kiser. Faceva l'avvocato per i diritti dei bambini. “Scrivo libri,” le aveva detto. “Ne ho scritti tanti. Un sacco di libri.”

Erano veramente tanti. Ed Erin li aveva letti tutti. Roger Kiser aveva scritto una quantità di pagine veramente incredibile. Lei le aveva lette per dovere, per cercare indizi. Si era chiesta se le avrebbe lette altrimenti. Erano dei pugni nello stomaco.


Kiser sorseggiava la sua limonata biologica, al tavolino di smalto bianco nel giardino di Erin, in un assolato pomeriggio d'estate e diceva: “Selvaggi, così ci chiamavano. Quando arrivai a Marianna e vidi la piscina, il campo da calcio, la palestra, rimasi a bocca aperta. Ero stato in diversi istituti, prima, ma mai nessuno così bello. L'impatto a prima vista mi mozzò il fiato. Non feci caso alla Casa Bianca. Avevo dodici anni, circa. Cioè, in realtà non lo so. Quasi nessuno sapeva la sua età. Non abbiamo mai festeggiato un compleanno. L'abbiamo scoperto solo molto più tardi, quanti anni avevamo, chi si è dato la pena di cercare il suo certificato di nascita.”

Si era interrotto. Erin gli aveva versato ancora da bere. “Continui,” l'aveva incitato.

“La chiamavano la Casa Bianca. Ci portavano lì per…. Per punirci, dicevano.” Bevve un sorso di limonata. “C'erano queste due stanze. Ci incatenavano al letto, al muro. Quando ci picchiavano scommettevano su chi avrebbe fatto sanguinare le vittime per primo. Ci picchiavano finché perdevamo i sensi. Usavano cinture di pelle e ferro. Dopo venti o trenta colpi i blue jeans si strappavano. La biancheria intima penetrava nella pelle. Dopo ci portavano in infermeria perché dovevano rimuoverla chirurgicamente. C'era una terza stanza e lì ci portavano per violentarci. E hanno ammazzato tanti di noi. I corpi sotto a quelle croci... non sono tutti. Prendevano i cadaveri e li gettavano nell'inceneritore e poi con le ceneri concimavano quel bel giardino. Oppure li gettavano nelle paludi, in pasto agli alligatori. ”


Poi Dick Colon, oggi un ricco e potente imprenditore di Baltimora, parlò all'improvviso con la voce di un adolescente. “Un giorno andai in lavanderia, e vidi che avevano messo un ragazzo nero in un'asciugatrice. Aveva più o meno la mia età, quattordici o quindici anni, era ancora vivo. Scappai perché sapevo che se lo avessi aiutato avrei fatto la sua fine. Non l'ho mai detto a nessuno. Non me lo sono mai perdonato.”


Erin Kimmerle, che aveva passato la sua vita sulle scene del crimine, non seppe cosa rispondere. Sentì i peli drizzarsi sulle braccia.


Bryant Middleton prese la parola. Era un ex ranger dell'esercito, ma anche lui sembrava un bambino mentre parlava. “Deve capire, eravamo giovani delinquenti, orfani selvaggi, è vero che alcuni di noi erano pericolosi. C’era bisogno di disciplina. Ma quella non era disciplina. Io ho fatto il militare. Quella era tortura.”


Roger sussurrò: “Alcuni di questi delinquenti selvaggi non avevano neanche cinque anni quando sono stati ammazzati di botte.”


Middleton chinò la testa. “Nessuno di noi ha mai parlato prima. Un ragazzo che provò a scappare fu ammazzato davanti ai nostri occhi a colpi di arma da fuoco. Ma la cosa terribile è che la gente sapeva. Le autorità sapevano. Nessuno fece niente. A chi importava di noi? I ragazzi del riformatorio? Non eravamo figli di nessuno. Eravamo delinquenti. Ha visto la Cnn? Tidwell dirigeva l'istituto, ancora gira a piede libero e dice che è tutto falso.”


Mc Carthy non aveva pronunciato una parola. Se ne stava lì, con gli occhi sgranati e le spalle addossate alla seggiolina liberty di ferro bianco. Erin lo fissò e vide Michael, un adolescente terrorizzato intrappolato nel corpo di un vecchio. Non chiese niente. Il modo in cui taceva diceva già tutto.


Erin aveva visto i referti medici, le fotografie delle cicatrici sulle schiene di quegli uomini.

Le trentuno croci senza nome.


E ora stava scavando nel bel giardino dell'istituto. Non erano trentuno. Erano molti di più. Le croci senza nome erano state un privilegio di quei trentuno. Gli altri erano solo stati seppelliti. E stando a quanto aveva detto Kiser, erano anch'essi privilegiati, rispetto a quelli i cui cadaveri erano stati carbonizzati e usati come concime o buttati nelle paludi e fatti a pezzi dagli alligatori.


Come in un incubo, continuavano a venire fuori corpi. Alcuni erano di un metro e settanta, un metro e ottanta. Ma altri erano così piccoli. Corpi di un metro, un metro e venti, un metro e quaranta.

Le autopsie erano anche peggio. Raccontavano storie che rendevano il ventunesimo secolo attorno a lei irreale.

Il tranquillo mondo di prati verdi e edifici bianchi attorno a lei era falso, una vergognosa bugia. Quei prati erano rigogliosi per i corpi di bambini violentati e macellati e seppelliti sotto, quelle pareti candide – la Casa Bianca – erano, dentro, coperte da segni di dita insanguinate, dita di mani piccole, dita che invano avevano cercato sostegno al muro.


Quanto sangue avevano perso in quella stanza perché le mani ne fossero così imbrattate da lasciare le impronte sulle pareti? Quanta disperazione ci voleva per tentare di aggrapparsi a un muro liscio?


Erin scava, scava. C'è una squadra intera che scava con lei. Sono più di cinquanta, i morti. E sono anche di più i superstiti, quasi quattrocento. Quanto terrore hanno provato quattrocento uomini che per cinquant'anni mantengono il silenzio? Neanche uno aveva parlato, finché Kiser, McCarthy, Middleton e Colon non si erano fatti avanti e Christ aveva ordinato l'inchiesta. Ora stavano diventando centinaia. Era stata paura? O erano abituati a pensare che a nessuno sarebbe importato di loro? E se era per quest'ultimo motivo che non avevano parlato, avevano forse torto?


Erin si chiede che cos'è la razza umana se per più di un secolo, quasi fino ad oggi, quell'istituto è rimasto aperto, se fino ad oggi quegli abusi sono continuati, se nessuno ha mai fatto caso ai risultati delle ispezioni– ricorda a memoria la lista, più di un secolo di sangue di bambini: ispezione 1903, uso abituale dei ceppi, ispezione 1934, morte di un tredicenne, ispezione 1968, punizioni corporali, ispezione 1982, ragazzi legati mani e piedi, in isolamento per settimane, ispezione 2007, abusi fisici e sessuali, ispezione 2009, violenza e abuso, ispezione 2010, sevizie - che cos'è la razza umana se non un insieme di carnefici, vittime e spettatori?


Quando i Ragazzi della Casa Bianca avevano accusato lo Stato della Florida, quando Erin aveva accettato il caso, il riformatorio era ancora aperto. Non c'era nessuna prova di quello che dicevano. Avevano perso la causa.


Erin però si era fissata. Aveva spulciato tutti i registri. Il luogo di sepoltura dei ragazzi dell'Istituto Dozier non era indicato quasi mai.

Ci aveva messo tre anni a ottenere il permesso di scavare.

E ora stava scavando. E finché la terra restituiva corpi, non si sarebbe fermata.

Il riformatorio era stato chiuso. Sapeva che Colon voleva finanziare il progetto di una scuola che prendesse il posto di quel terribile istituto, una scuola d'eccellenza, una scuola dove i ragazzi fossero trattati come ragazzi. “Cerco di placare il mio senso di colpa,” le aveva detto.


Si sentiva in colpa per il ragazzo nero nell'asciugatrice, e per gli altri che aveva visto morire.

Colon si sentiva in colpa mentre i carnefici avevano girato spensierati e incensurati per tutta la vita. Mentre lo Stato della Florida si era girato dall'altra parte per un secolo. Mentre anche le loro accuse sarebbero rimaste inascoltate, se Erin non avesse trovato quei registri, e quel cosiddetto riformatorio, in cui le sevizie erano continuate fino al 2010, sarebbe stato ancora aperto.


“Erin, ce ne sono altri. C'è un altro terreno in cui….” Il suo collega ha il volto stravolto. Erin sa che ha tre figli, maschi, che hanno più o meno l'età dei morti che stanno disseppellendo.

“Non so quanti di preciso. Quaranta, forse cinquanta. Quasi cento, in tutto.”

Erin si scosta dalla fronte un ciuffo biondo con la mano guantata sporca di terra. I capelli continuano a sfuggire alla retina.

Quasi cento. Erin annuisce.

Cosa mai potrebbe rispondere?

La Florida è baciata dal sole oggi, l'erba scintilla.

Il bianco di quelle ossa riluce nel sole, netto contro la terra scura.

Erin ha l'aspetto da ragazza della Florida, il tipo di ragazza che ti aspetti di vedere su una spiaggia di lusso con un margarita in una mano e una tartina al salmone nell'altra. Invece sta dissotterrando cadaveri.

Cadaveri di bambini.

Quasi cento.


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